Dal 3 al 26/06 alla Galleria Nazionale di San Marino si è tenuta “Bolliture, cotture e graffiti”, una grande antologica del ceramista Franco La Maida.
Le sue opere appaiono a volte come reperti archeologici appena dissepolti, cristallizzando in noi l’anno magico della “riscoperta” e con essa, più che una proustiana “madeleinette”, uno squarcio prepotente della memoria sul passato. La sua arte appartiene al momento in cui la motivazione artistica mantiene più saldo e diretto il legame con motivazioni più utilitarie. L’utilità appartiene alle grandi domande sull’esistenza, alla rappresentazione del simbolo, dell’eternità, del non compreso, del non spiegato. Le ciotole, oggetti quotidiani apparentemente umili, assurgono così a grande valore di simbolo, divengono ostensorio, rappresentazione della divinità e della trasmissione nell’uomo del sangue e del corpo del divino. Dice l’autore descrivendo le sue esperienze: “si comincia giocando …”. Ma anche il gioco è una grande esperienza umana, intellettuale, spesso grande metafora del comportamento, singolo e collettivo: si pensi al gioco del mondo o al gioco degli scacchi. Nella stessa definizione par di ravvisare il principio picassiano “io non cerco, trovo” in cui gli intellettualismi dell’arte sono aborriti, per essere recuperati, eventualmente, a posteriori. Preliminare è recuperarne la componente istintiva, di ricerca senza finalità immediate ed estetiche, il valore tutto altro da sé rispetto alla contingenza quotidiana dell’uomo e quindi, proprio per questo, principe rispetto alle banali necessità del presente. La ricerca è lavoro, cottura su cottura, smaltatura su smaltatura. La sovrapposizione di colori per cotture successive fa nascere superfici nuove. Il tempo delle diverse cotture, diviene tempo dell’opera, tempo sedimentato, tempo archeologico. L’oggetto è memoria; è stratigrafia, è nuovamente altro da sé, è reperto presente. La “casualità” degli esiti, così frequente nell’opera ceramica è ricerca, ricerca dell’imperfezione programmata, del difetto che impreziosisce l’oggetto, che lo differenzia dall’opera industriale, dalla macchina. L’oggetto diviene memoria della manualità dell’uomo.
Articolo tratto dalla rivista “D’Artigianato tra arte e design” n°58 – Luglio/Settembre 2005