Le opere ceramiche dell’artista sammarinese sembrano riaffiorare da una memoria genetica ancestrale in cui l’oggetto diventa simbolo estetico di spiritualità
“L’artigiano deve foggiare, rifinire e casomai distruggere per ricostruire e nuovamente limare in un circhulo che tende alla perfezione. Per lui l’arte della ceramica è il dominare i quattro elementi: terra, acqua, fuoco e aria per raggiungere appunto la “circhulare perfetione”. Così scriveva Cipriano Piccolpasso da Casteldurante (1524-1579) rifacendosi a quella memoria ancestrale dell’Uomo che ha sempre usato la ceramica per usi funzionali o religiosi. Un materiale fragile, eppure incorruttibile che dall’età neolitica affianca l’uomo nella sua quotidianità, fino a diventarne l’esemplificazione della sua capacità artistica e del suo gusto per l’estetica.
E’ questa memoria genetica che affiora nelle opere di Franco La Maida. Il quale, superato il rigore filologico del ceramista restauratore, sua originaria specializzazione, approda nelle ultime produzioni al campo libero della creatività artistica. Ma le radici culturali e professionali rimangono. La sua arte appartiene a quel momento privilegiato in cui la motivazione artistica mantiene più saldo e diretto il legame con le motivazioni più utilitaristiche. Quando cioè la funzionalità approda alle grandi domande sull’esistenza, alla rappresentazione del simbolo, del non spiegato.
Come le ciotole di La Maida, oggetti dai mille usi, che assurgono alla sfera religiosa, divengono ostensorio, rappresentazione della divinità e della sua relazione con l’Uomo.
Dice l’autore: “Si comincia giocando…” ma anche il gioco è una grande esperienza umana, spesso metafora del comportamento singolo o collettivo, quasi sempre occasione di conoscenza e sperimentazione, preludio alla ricerca. Per il ceramista, la ricerca è lavoro, cottura su cottura, smaltatura su smaltatura. Il tempo dell’opera è un tempo sedimentato, che diviene memoria della manualità dell’uomo e della sua energia nel plasmare il mondo.
Nasce di qui quella concretezza plastica e cromatica che La Maida riesce a tradurre anche in un’immacolata sensualità: donne, madri, coppie di amanti che declinano intrecci erotici o propiziatori che si rifanno agli archetipi della Grande Madre e agli antichi riti della fertilità.
Le “Silhouette”, le “Sacre famiglie”, insieme a madri, glaciazioni e armonie, che caratterizzano le sue produzioni degli anni 2000, con le loro superfici aspre o seriche, tormentate o carezzevoli, sembrano tutte create per indurre una reattività tattile, come quella dei sensi allertati nei preliminari sessuali o nell’alterazione del turbamento emotivo. Emozioni primordiali, assoggettate alle ragioni della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuco.
Franco La Maida è un artista da sempre. Sin dai tempi della sua formazione presso l’Istituto d’Arte per la ceramica “G. Ballardini” di Faenza. Il suo curriculum si arricchisce di anno in anno di esperienze preziose, prima conducendo un proprio laboratori ceramico per produzioni a piccolo e grande fuoco, con elaborazioni personali, sia nella forma, sia nella decorazione; poi approdando al “Centro del Restauro” dei Musei di Stato di San Marino; fino a dedicarsi esclusivamente alla sua personale ricerca nel campo della scultura in ceramica e nella valorizzazione materica delle superfici. Un credo artistico in continua evoluzione, dunque, sempre espresso come un desiderio costante di comunicazione attraverso un sistema linguistico del tutto originale, ma non per questo meno coinvolgente.
E’ vero, le sculture non parlano. Almeno non nel senso stretto della parola. Eppure, è un silenzio rotto da pensieri visivi, sensazioni oniriche capaci di rivelare le pulsioni più intime dell’anima, tali da costruire un sistema grammaticale e una sintassi che connotano indiscutibilmente uno stile. E’ lo stile di Franco La Maida, che dall’umile materia qual è la terra, riesce ad elevarsi, nella catarsi del fuoco, fino alle vette più pure della spiritualità. E dell’Arte.
Articolo tratto dalla rivista sammarinese “Sorpresa” Dicembre 2008